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Il Crollo di un'Oligarchia

Nel 1940 Indro Montanelli scrisse per il "Corriere della Sera" una serie di corrispondenze da Bucarest, tra le quali ce n'era una, intitolata Le cento evasioni di Horia Sima, che intendeva presentare al pubblico italiano il nuovo capo del Movimento legionario, divenuto da poco più di un mese Vicepresidente del Consiglio nel governo nazional-legionario presieduto dal generale Ion Antonescu.
Quelle avventurose vicende che Horia Sima racconterà nei due volumi di memorie usciti in italiano col titolo Crollo di un'oligarchia, si trovano riassunte nell'articolo di Montanelli uscito sul "Corriere" del 22 ottobre 1940. Varrebbe la pena di ripubblicarlo, magari insieme con le altre corrispondenze di Montanelli in cui vengono denunciate le trame dei "pezzi grossi della cricca giudaica" (sic) e viene rievocato Corneliu Codreanu: "detto tra noi, una figura eccezionale", per citare testualmente le parole dette dal decano del giornalismo italiano all'editore (nonché traduttore) di questo Crollo di un'oligarchia. Qui ci limiteremo a trascrivere un brano significativo di tale articolo, che presentiamo come recensione ante litteram delle memorie di Horia Sima.

A Berlino (Horia Sima) reclutò fra i rifugiati un nucleo di combattenti con cui tornare in Romania e tentare la rivolta. Lo allenò militarmente nel cortile di un'autorimessa. Nel maggio (e siamo già nel '40) partono in cinque, con passaporti ceduti loro da studenti romeni che si trovavano a Berlino. Partono dopo aver cambiato la foto e alla spicciolata. Patrascu ha appuntamento con Sima a Ofcea, un villaggio del Banato serbo. Vi giunge infatti alla data indicata e vi incontra il capo con due compagni. Ma dopo tre giorni la polizia jugoslava, in sospetto, procede ad arrestarli. Ne arresta due soli. Sima e Patrascu fuggono di notte e, a piedi, raggiungono Vladimirovaz. E di nuovo i gendarmi li scoprono e di nuovo essi fuggono inseguiti dalla cavalleria: finché a Varsetz incontrano una confraternita di contrabbandieri che li aiutano ad attraversare il confine romeno (…) Ora è la polizia romena che li tallona. Inseguiti a fucilate, decidono di separarsi per confondere gli inseguitori e così fuggono per i boschi, ognuno convinto che l'altro sia stato acciuffato. Patrascu erra una intera notte, perde la strada e si ritrova al punto di partenza, dove viene arrestato. Sima si rifugia in un bosco. Ma una tribù di zingari lo vede e lo denunzia. Circondato, è arrestato anche lui. Il capo dei gendarmi che lo identifica è convinto di avere fatto un gran colpo, manda telegrammi su telegrammi alla capitale e vi avvia il prigioniero su un treno carico di gendarmi. Il treno arriva a Bucarest, ma invece della polizia è alla stazione per ricevere Sima un messo del Re che lo conduce a Palazzo Reale. Carol è a Canossa, cerca a tutti i costi un riavvicinamento con la gioventù e sa che la gioventù è con Sima. Sima tergiversa. Poi, il 27 giugno, finge di cadere. Entra a far parte del governo Gigurtu e con tal gesto fa cadere tutte le accuse che pendevano sulla sua testa. Ventiquattro ore dura la sua permanenza al governo. Quando il Re gli impone di indossare la divisa del Partito della Nazione, Sima risponde che, di divise, egli non conosce che la Camicia Verde del Capitano e dà le dimissioni. Il primo impulso di Carol è quello di far fucilare l'indocile legionario. Ma per le fucilazioni non si trovano più gli strumenti. Tuttavia Sima, che ha ripreso con più vigore il suo lavoro di organizzazione rivoluzionaria, non si sente sicuro e cambia domicilio ogni notte, protetto da un corpo di suoi fidi. Quando sente prossima la catastrofe, clandestinamente parte per Brasciov, dove il 3 settembre, vestito da tenente d'artiglieria, alla testa di 300 legionari occupa con un colpo di mano la Questura, le centrali telegrafica e telefonica e tiene in ostaggio alcuni ufficiali. Per suo ordine a Constantza si procede in identico modo. Sono gli avvenimenti che decidono Carol all'abdicazione.