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Letteratura e Tradizione

NUMERO SU NAE IONESCU

Claudio Mutti, Capitolo da Le penne dell'Arcangelo
Mircea Eliade, Il professor Nae Ionescu. A trent'anni dalla morte
E. Cioran, Nae Ionescu, ovvero il dramma della lucidità
Gabriel St[nescu, Emil Cioran tra elogio perfido e amnesia
Gabriel St[nescu, Il trionfo dello spirito socratico
Nae Ionescu, Cultura e democrazia
Nae Ionescu, L'arte fascista
Nae Ionescu, La virgola
Bibliografia italiana
Sorin Alexandrescu, Il fenomeno legionario


Narrativa: dal libro di Dan Stanca
Poesia: Poesia palestinese

NAE IONESCU, maestro di Mircea Eliade e della "giovane generazione" della Romania interbellica

Claudio Mutti

Nato il 16 giugno 1890 a Br[ila, Nae Ionescu studiò filosofia tra il 1909 e il 1913 all'Università di Bucarest, dove fu allievo anche di Nicolae Iorga. Nel 1913 si recò in Germania con la moglie, dalla quale ebbe due figli; internato durante la guerra in un campo di concentramento (il Regno di Romania si era schierato a fianco dell'Intesa), nel 1919 conseguì a Monaco di Baviera il dottorato con una tesi su "la logica come tentativo di una nuova fondazione della matematica"1. Tornato in patria al termine del conflitto, fu introdotto dal suo ex professore Constantin R[dulescu-Motru nel corpo docente, in qualità di assistente incaricato di logica, teoria della conoscenza e metafisica. I titoli dei primi corsi tenuti dal nuovo docente (Il problema della Divinità, La realtà della vita spirituale, Metafisica e religione, La fenomenologia dell'atto religioso)2 sono sufficienti a mostrare in quale radicale contrasto si ponesse l'insegnamento del prof. Ionescu nei confronti dell'orientamento razionalista che dominava alla Facoltà bucarestina di Lettere.
"Parlare di cristianesimo e filosofia cristiana nell'università - scrive Mircea Eliade - era, nel 1921, una vera rivoluzione"3. E ancora: "Parlare di 'redenzione', 'santità', 'ortodossia', 'eresia' in corsi di metafisica e logica significava allontanarsi da una consolidata consuetudine di idealismo e positivismo. I problemi di metafisica e filosofia religiosa erano stati esclusi da tempo dalle preoccupazioni accademiche. Il professor Nae Ionescu è stato il primo a porre - con competenza e originalità - questi problemi al centro delle sue lezioni. (...) E' vero che solo il professor Nae Ionescu si poteva permettere la libertà di parlare di religione, cristianesimo, mistica e dogmatica dalla cattedra di metafisica; e questo perché era al contempo un logico temibile, teneva corsi di filosofia della scienza e aveva presentato la tesi di dottorato su una questione matematica. La sua solida preparazione scientifica non poteva essere contestata da nessuno. Non poteva essere sospettato di patetismo, di 'misticismo', di dilettantismo"4.
Decisamente rivoluzionario perché infrangeva il monopolio idealista e neoidealista, l'insegnamento di Nae Ionescu si collocava nel solco della migliore linea culturale romena, tanto che Eliade ha potuto vedere in lui il successore diretto di Iorga e un erede di P`rvan: "Dopo il momento profetico e apollineo di Vasile P`rvan (...) Nae Ionescu si manifesta fin da principio come un tipo socratico: contro l'oratoria, contro il profetismo, contro una metafisica esteriore. Egli riconduce la metafisica al suo punto di partenza: la conoscenza di sé"5.
Così, al cristianesimo umanistico e moralistico che si era diffuso negli ambienti ortodossi della capitale romena Nae Ionescu oppose "un cristianesimo aspro, asociale, (...) esclusivamente teocentrico, la cui unica norma era l'amore per Dio: di fronte a ciò, 'l'amore per il prossimo' appariva solo come una deviazione occidentale"6. Teologo di "un cristianesimo metafisico", Nae Ionescu non risparmiò nemmeno il Patriarca Miron (che sarà complice dell'oligarchia nell'assassinio di Codreanu): "riteneva che la mentalità secolaristica, laicizzante e protestantica del capo della Chiesa romena costituisse un'intrusione delle concezioni del mondo moderno, che egli detestava, nel seno della vita spirituale della Chiesa"7. Questo interesse per gli studi teologici culminò, nel 1927-'28, nella pubblicazione di "Logos - Revue internationale d'études orthodoxes": ai due numeri che videro la luce collaborarono autorevoli esponenti del pensiero ortodosso, tra cui Florovskij e Florenskij.
Tra i giornali e le riviste sui quali Nae Ionescu scrisse, fu il quotidiano "Cuv`ntul" il veicolo più efficace della sua azione paideutica. Questo giornale, di cui il filosofo fu il principale animatore, in seguito al rientro di Carol in Romania (nel 1930) diventò una sorta di organo ufficioso della corte regale; lo stesso Nae Ionescu fu a un passo dal diventare consigliere del re, nel quale venivano ancora riposte tante speranze. Ma, soprattutto a causa dell'ostilità nutrita nei confronti del professore da parte di Magda Lupescu, la potente maîtresse ebrea del sovrano, i consiglieri favoriti di Carol furono Wieder e Urd[reanu, sicché tra il 1931 e il 1932 il prestigio di Nae Ionescu negli ambienti del Palazzo scemò in misura considerevole.
La rottura definitiva coi circoli di corte e col governo ebbe luogo nel 1933. Ritornato da un viaggio nel Reich, dove era rimasto positivamente impressionato dalla rivoluzione crociuncinata, Nae Ionescu auspicava una soluzione analoga anche per la Romania: "la sua opposizione alla politica del re era diventata manifesta e si accentuava di giorno in giorno. Da tempo, ormai, Carol II non lo ascoltava più. Nei suoi articoli su 'Cuv`ntul', Nae Ionescu non cessava di attaccare, con garbo ma in maniera evidente, la politica regale, e faceva non meno chiare allusioni alla camarilla di corte"8.
Allorché, al momento della campagna elettorale, l'azione intrapresa dall'oligarchia contro il movimento legionario si concretò in una vera e propria persecuzione terroristica fatta di arresti arbitrari, torture e violenze d'ogni genere e culminò nel decreto di scioglimento del "Gruppo C. Z. Codreanu" e con l'arresto di undicimila legionari9, Nae Ionescu mise a disposizione dei militanti guardisti la sua prestigiosa testata. Rimasti privi dei loro pochi organi di stampa, i legionari trovarono in "Cuv`ntul", come pure in "Calendarul" di Nichifor Crainic, "la principale tribuna di denuncia delle prepotenze governative"10.
In seguito all'eliminazione fisica del presidente del consiglio Ion Duca ad opera di un nucleo legionario (il 29 dicembre 1933), vi fu una nuova e ancor più massiccia ondata repressiva, nel quadro della quale "Cuv`ntul" fu costretto a sospendere le pubblicazioni, mentre il professor Ionescu veniva arrestato e incarcerato a Jilava, senza che fosse formulata contro di lui la minima imputazione. Rilasciato anche lui dopo le elezioni, si recò in tribunale a deporre in qualità di teste a discarico; tra l'altro dichiarò che, come genitore, si augurava che i propri figli Radu e R[zvan potessero ricevere quell'educazione che veniva impartita ai giovani nelle file del movimento legionario.
A convergere sulle posizioni del movimento legionario, Nae Ionescu era predisposto per via del suo stesso modo di vedere le cose. "La sua posizione apertamente antidemocratica, espressa negli articoli su L'individualismo inglese e su Descartes, padre della democrazia moderna, così come nella conferenza sul Sindacalismo, faceva di lui un uomo di sinistra nella politica sociale e un reazionario d'estrema destra nella tecnica politica"11.
Se Mircea Vulc[nescu attribuisce al suo maestro la simultanea appartenza alla destra politica e alla sinistra sociale, Nae Ionescu esprime formalmente il rifiuto di tali categorie in quanto inadeguate e insufficienti: "Io cerco di pensare sulle realtà politiche, per delimitare problemi e trovare soluzioni di governo. Sono di destra o di sinistra? Non lo so proprio. Perciò, risparmiatemi queste domande. Non per altro, ma non hanno nessun senso"12.
Dalle più alte gerarchie legionarie, gli stessi concetti venivano contemporaneamente espressi da Vasile Marin, che nell'autunno del 1933 era entrato nella redazione di "Cuv`ntul". Secondo Vasile Marin, la definizione della Guardia di Ferro come movimento "di destra" mira a "presentare l'azione legionaria come un movimento reazionario". Invece, "come il fascismo e come il nazionalsocialismo, il movimento legionario lotta per la creazione dello stato totalitario (...) La concezione totalitaria della riforma dello Stato ci impedisce di accordare una qualunque importanza a queste nozioni (di "destra" e di "sinistra", n.d.r.), prive per noi di significato. (...) Non possiamo essere né a destra né a sinistra, per la buona ragione che il nostro movimento abbraccia tutto quanto il piano della vita nazionale (...) Quando la stessa rivoluzione russa si nazionalizza intensamente (...) e quella fascista si socializza sempre più profondamente, che senso hanno più le etichette desuete di 'destra' e di 'sinistra', per essere ancora applicate alle azioni e ai regimi politici? Uno solo: la diversione!"13
Nae Ionescu ci si presenta dunque come il massimo esponente intellettuale di quella che potremmo chiamare la "rivoluzione conservatrice" della Romania. Difatti Vulc[nescu mette in risalto, nell'orientamento rivoluzionario del suo professore, la fondamentale irriducibilità al liberalismo: "Attento alle trasformazioni insensibili degli orientamenti del mondo, antiliberale perché gli sembrava che la funzione essenziale dei liberali (...) consistesse nel violentare il corso naturale dello sviluppo della nazione, Nae Ionescu era in attesa di chi riuscisse a dare una risposta alla sua attesa di una rivoluzione, una rivoluzione che non doveva essere nient'altro se non la manifestazione della realtà romena di sempre"14. D'altronde il teologo ortodosso fondava su un passo biblico la certezza che, "quando il re è inetto, Dio suscita dal seno del popolo un Capitano". Così era avvenuto in passato con Michele il Prode, con Tudor Vladimirescu, con Avram Iancu. Così avveniva in quegli stessi anni con Corneliu Zelea Codreanu.
L'ingresso di Nae Ionescu nel mondo legionario comportò, da parte del filosofo, l'assunzione di un vero e proprio impegno militante, che si tradusse in una serie di conferenze tenute su tutto il territorio romeno. I risultati furono immediati: il movimento riscosse numerose adesioni tra studenti, docenti e professionisti, mentre il suo prestigioso maître à penser si attirò parecchie ostilità: "tra gli uomini politici e i giornalisti di sinistra, ovviamente, ma soprattutto tra quelli di destra"15.
Gl'intellettuali legionari rimasero in contatto permanente con Nae Ionescu, "lo consultavano di continuo, gli chiedevano di fornir loro motivi di riflessione e di lotta. E, siccome nel movimento non si faceva niente senza il consenso del capo, se ne deduce che quest'ultimo approvava tali contatti"16.
L'autorità acquisita da Nae Ionescu in mezzo ai legionari e la totale fiducia di cui godette presso di loro sono dimostrate dal fatto che egli "fu la guida diretta di alcuni guardisti per quanto concerne talune delle loro azioni, sia nel quadro del movimento sia fuori di esso"17. Vulc[nescu menziona esplicitamente, tra gli altri: Mircea Eliade, Vasile Marin, Ion Mo\a.
Quest'ultimo, allorché nel novembre 1936 partì per il fronte spagnolo, consegnò al professore alcune lettere in cui aveva redatto il proprio testamento spirituale18. E fu Nae Ionescu a scrivere la prefazione per Crez de genera\ie (Credo di generazione), una raccolta di articoli di Vasile Marin, dopo che questi cadde combattendo a Majadahonda al fianco di Ion Mo\a.
Nel gennaio 1938 "Cuv`ntul riprese le pubblicazioni. Mircea Eliade ne curava la pagina culturale, redigendo lui stesso due o tre articoli alla settimana e facendo collaborare alcuni suoi ex allievi. (Fu in questo periodo, per l'esattezza nel mese di marzo, che Nae Ionescu conobbe Julius Evola: lo scrittore italiano pranzò a casa del professore, con Eliade e con il matematico Octav Onicescu, un membro del CAUR romeno). Ma la nuova serie del giornale di Ionescu dovette interrompere le pubblicazioni tre mesi più tardi, allorché la dittatura instaurata dal re scatenò una massiccia persecuzione contro la Guardia di Ferro.
Nae Ionescu fu arrestato nella notte tra il 16 e il 17 aprile, assieme ai dirigenti legionari e ai militanti d'avanguardia, e fu internato con loro in un reclusorio nei pressi di Miercurea Ciuc, "il più duro, il più raffinato che la tecnica carceraria avesse concepito"19. Privato della libertà, malato e sofferente per una grave disfunzione cardiaca, colpito nell'attività professionale con la revoca dell'incarico universitario, il professor Nae Ionescu fu, nel campo di concentramento, un modello vivente di dignità e forza d'animo. Anzi, grazie a lui il reclusorio diventò una sorta di "università legionaria": egli tenne per i compagni di prigionia una serie di conferenze, i cui argomenti andavano dalla metafisica al "fenomeno legionario"20, imitato in ciò da Mircea Eliade, che parlò sulla lotta di liberazione dell'India contro il dominio britannico. A una tale attività i carcerieri reagirono adottando misure repressive straordinarie; lo stesso ministro degli Interni prescrisse per il professore un regime di isolamento speciale.
Fu in questo periodo di isolamento che Nae Ionescu scrisse il saggio su Machiavelli: "su sottile carta igienica, ma con la stessa estetica di calligrafo perfetto, con la stessa perfetta impaginazione di sempre, che lo rendono simile a un testo cinese"21. Mircea Vulc[nescu, che prese visione del manoscritto (tuttora inedito), dice che la peregrinazione intellettuale di Machiavelli alla ricerca del Principe evoca inevitabilmente nel lettore l'analogo tentativo compiuto da Nae Ionescu, il quale, dopo avere indirizzato le proprie aspettative prima su Carol II e poi su Iuliu Maniu, ritenne finalmente di aver trovato nel Capitano del movimento legionario l'uomo del destino romeno.
In seguito all'assassinio di Codreanu, avvenuto esattamente cinquant'anni fa, nella notte tra il 29 e il 30 novembre (la notte in cui, secondo la tradizione popolare, si scatenano i demoni più pericolosi), Nae Ionescu venne scarcerato, assieme ad un gruppo di legionari. Ma, poiché il campo di concentramento non lo aveva piegato ed egli aveva continuato imperterrito a manifestare la sua opposizione alla dittatura, il 13 gennaio 1939 venne ricondotto a Miercurea Ciuc. Rilasciato una seconda volta, il 9 marzo fu nuovamente arrestato; stavolta fu internato all'ospedale militare di Braçov, dove rimase fino al 24 giugno. In occasione delle "stragi di settembre", fu incarcerato per la quarta volta.
Nell'inverno successivo Nae Ionescu ritornò nella sua villa di B[neasa, dove, come ricorda Eliade, il professore aveva il permesso di ricevere una volta alla settimana i suoi ex allievi.
Il 15 marzo 1940 Nae Ionescu morì, in circostanze che non sono mai state chiarite. Circolò insistente la voce secondo cui sarebbe stato avvelenato per ordine della camarilla di corte; questa in effetti lo temeva molto, perché nell'imminente crisi del regime egli avrebbe svolto un ruolo importante, dati i contatti che aveva in Germania e dato il grande prestigio di cui godeva in Romania.
Alle esequie intervenne una folla immensa: "professori universitari, direttori di ministeri e di istituti culturali, giornalisti, studenti, borghesi e popolani, che si accalcavano per vederlo per l'ultima volta"22.
Mircea Eliade, che tenne il discorso funebre e fu tra coloro che portarono a spalle la bara, ha detto che il professore voleva essere seppellito con la foto di Codreanu che egli portava sempre con sé. Ma la foto venne sequestrata dalla Procura.

Claudio Mutti

1 Die Logistik als Versuch einer neuen Begründung der Mathematik, München 1919.
2 I corsi universitari di Nae Ionescu furono parzialmente pubblicati da alcuni ex allievi (Noica, Vulc[nescu ecc.) che costituirono un "Comitato per la stampa dell'opera di Nae Ionescu". Finora gli editori romeni hanno pubblicato oltre il 70% della sua produzione: la sua tesi di dottorato, otto corsi universitari, le più note conferenze extrauniversitarie, quasi tutta la pubblicistica identificata come sua (molti scritti li pubblicò anonimi o firmati con vari pseudonimi) e una parte considerevole della sua corrispondenza epistolare.
3 Mircea Eliade, ...çi un cuv`nt al editorului (... e una parola dell'editore), in: Nae Ionescu, Roza v`nturilor (La rosa dei venti), Bucarest s.d. (ma: 1937), p. 439.
4 Mircea Eliade, op. cit., pp. 439-440. Nei suoi diari, Eliade ha spesso rievocato la figura di Nae Ionescu. Anche i personaggi di alcuni romanzi eliadiani lasciano intravedere il profilo del maestro.
5 Mircea Eliade, ...çi un cuv`nt al editorului, cit., p. 429.
6 Mircea Vulc[nescu, Nae Ionescu. Aça cum l'am cunoscut (Nae Ionescu. Così come l'ho conosciuto), Bucarest 1992, pp. 43-44.
7 Mircea Vulc[nescu, op. cit., p. 75.
8 Mircea Eliade, Memorii I, Bucarest 1991, p. 286.
9 Horia Sima, Histoire du Mouvement Légionnare, Rio de Janeiro 1972, pp. 103-106.
10 Horia Sima, Mari existen\e legionare (Grandi vite legionarie), "|ara çi Exilul", I, 8, 1 giugno 1965, p. 22.
11 Mircea Vulc[nescu, op. cit., p. 91.
12 Nae Ionescu, Tot despre "dreapta" çi "st`nga" (Ancora su "destra" e "sinistra"), 25 giugno 1933, in: N. Ionescu, Roza v`nturilor, cit., p. 342.
13 Vasile Marin, "Extremismul de dreapt[" ("L'estremismo di destra"), in "Axa", 29 ottobre 1933, rist. in: V. Marin, Crez de genera\ie (Credo di generazione), München 1977, pp. 207-213.
14 Mircea Vulc[nescu, op. cit., p. 91.
15 Mircea Eliade, Memorii I, cit., p. 341.
16 Mircea Vulc[nescu, op. cit., p. 101.
17 Mircea Vulc[nescu, op. cit., p. 78.
18 Testamento di Ion Motza, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1984 (ristampa dell'ed. 1987).
19 Radu Gyr, Sofferenza, sacrificio e canto, in: Guardia di Ferro, Al passo con l'Arcangelo. Ritmi legionari, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1982, p. 54.
20 Nae Ionescu, Il fenomeno legionario, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1998.
21 Mircea Vulc[nescu, op. cit., p. 98.
22 Pericle Martinescu, La desp[r\irea de Nae Ionescu (Al distacco da Nae Ionescu), "Criterion", serie nuova, I, 2, 1990.

IL PROFESSOR NAE IONESCU. A TRENT'ANNI DALLA MORTE
Mircea Eliade

Quanto più passano gli anni, tanto più appare misteriosa la "leggenda" del professor Nae Ionescu agli occhi di coloro che non lo hanno conosciuto e non ne hanno ascoltato le lezioni di Logica, Teoria della Conoscenza e Metafisica alla Facoltà di Lettere di Bucarest. Come spiegare l'ammirazione quasi frenetica, la devozione, l'amore di cui lo circondarono, in primo luogo gli studenti, ma non solo loro, a partire dal 1925 fino alla sua morte? Ho sentito persone che si chiedevano: Chi era quest'uomo? Che cosa ha fatto? Che cosa ha scritto?
Nae Ionescu non si mise a scrivere "libri". Perché, diceva, i libri di un filosofo preparano e presentano il suo "sistema" personale di pensiero; ma il filosofo formula il suo "sistema" solo nel momento in cui ha capito che la vita non gli può più insegnare nulla. Qualunque sistema filosofico, ripeteva spesso Nae Ionescu, è la lapide tombale del filosofo.
E' vero, sono stati stampati alcuni volumi; ma tre di essi (Istoria Logicei, 1941; Metafizica, I-II, 1942-43) sono apparsi postumi e contengono corsi universitari pubblicati da alcuni suoi ex allievi. Per quanto riguarda la collezione di articoli di critica drammatica, teologia e filosofia della cultura pubblicati sotto il titolo Roza V`nturilor (1935), il libro fu messo insieme per suggerimento del professor Al. Rosetti, direttore della casa editrice "Cultura Na\ional[". Ma non credo che la lettura di questi volumi, ai quali si potrebbe aggiungere anche la tesi di dottorato di Monaco di Baviera, Die Logistik als Versuch einer neuen Begründung der Mathematik (1919), esistente solo in alcuni esemplari dattiloscritti, potrebbe spiegare, o giustificare, la "leggenda" del professor Nae Ionescu. Forse, se a qualcuno fossero accessibili le molte centinaia di articoli pubblicati, con la sua firma e sotto pseudonimi, in "Cuv`ntul", "Predania" e alcuni altri periodici, forse soltanto questo lettore fortunato potrebbe capire in che cosa è consistito il fenomeno culturale Nae Ionescu.
Scoprirebbe, in primo luogo, in che modo sorprendente il professore abbia anticipato le filosofie diventate di moda dopo il 1945, lui che insegnava agli studenti a filosofare partendo dall' "immediato", dai casi personali, e ricordava loro che un pensatore si può permettere qualunque libertà nelle proprie speculazioni, fatta eccezione per la libertà di non tener conto della Vita. Perfino il suo modo di organizzare le conferenze e le lezioni universitarie e di scrivere articoli evoca più lo stile degli anni 1950-'60 che non l'epoca 1925-1940. Assolutamente senza essere dogmatico, affascinato dal carattere stringente e dalla trasparenza angelica dei processi logici, ma appassionato dell'irriverenza compatta del concreto, dell'inesauribile creatività dei "sistemi vivi", dalla morfologia vegetale fino alle istituzioni culturali, Nae Ionescu chiedeva agli studenti, nei suoi seminari, di decifrare e giustificare anche le più segrete allusioni nelle Regulae ad directionem ingenii, ma teneva lezioni inaugurali su "L'amore come strumento di conoscenza", "La moda in filosofia", "Faust e il problema della redenzione", "Le emicranie di Nietzsche".
Parimenti, il suo interesse per i problemi religiosi e teologici, anche se rifletteva in parte il momento storico 1920-1930 - la voga del neotomismo, gli inizi della teologia dialettica, la crescente popolarità di Martin Buber, la scoperta di Kierkegaard - si inquadra piuttosto nella problematica religiosa specifica dell'epoca 1945-1960 (ad esempio, la passione del professore per Origene e l'apocatastasi, per la Cabala e i mistici renani, per le liturgie "popolari", il simbolismo religioso ecc.).
Per quanto riguarda il modo di scrivere di Nae Ionescu, esso ha rappresentato una rottura nei confronti della tradizione accademica romena e, in una certa misura, anche di quella europea. Innanzitutto, il fatto di "filosofare" in articoli (brevi!) di giornale, come avevano fatto, fino allora, solo Unamuno e Ortega y Gasset. Ma specialmente l'emancipazione nei confronti del gergo accademico ("io scrivo come un pizzicagnolo", confessava) e il non tener conto dei cerimoniali retorici tradizionali portarono, fatalmente, alla "compromissione" di Nae Ionescu agli occhi di molti suoi colleghi. "Non è serio", si diceva; "non è scientifico", intendendosi per "scienza" le note erudite, la bibliografia e le citazioni in varie lingue. E ancor più compromettenti apparivano, agli occhi degli "scientifici", le sue meditazioni e i suoi commenti sui "temi triviali", ossia sugli avvenimenti di tutti i giorni.
Ma, dalla seconda guerra mondiale in poi, i pensatori, i critici, gli scrittori fanno più o meno proprio questo: meditano sugli avvenimenti quotidiani, commentano "temi triviali". E non esitano a collaborare a giornali di alta tiratura, a partecipare a campagne politiche, a intervenire ad ogni genere di manifestazione pubblica. Filosofi di prestigio, credenti o agnostici (Heidegger, Jaspers, Gabriel Marcel, Ricoeur ecc.) dibattono problemi religiosi in un modo che non ricorda San Tommaso o Bergson, e neanche Schleiermacher o Rudolf Otto, ma, se mai, Nae Ionescu. In realtà, meno di un anno prima di morire il professore aveva deciso di scrivere due libri: un Comentariu (Commento) alle Lettere di San Paolo e C[derea în Cosmos (La caduta nel Cosmo), quest'ultimo costituito da una serie di lettere, per lo più indirizzate ad un'amica. (Nae Ionescu considerava San Paolo il più importante pensatore cristiano: non perché avesse avuto più genio filosofico, ad esempio, di Sant'Agostino, Origene o San Tommaso, ma perché aveva mostrato in che senso si possa pensare filosoficamente, in modo creatore, dopo l'Incarnazione). Se fosse riuscito a concludere questi libri, quanti filosofi, quanti professori di filosofia non lo avrebbero invidiato, oggi, per la novità e la modernità "stilistica" dell'opera?
Ma, evidentemente, finché i testi rimangono inaccessibili, la "leggenda" di Nae Ionescu continuerà a sconcertare, o a irritare, tutti coloro che non lo hanno conosciuto. Intanto, non c'è niente da fare; sia noi, che lo abbiamo conosciuto, sia gli altri, dovremo aspettare ancora. Ma una cosa è certa: sono passati trent'anni dalla morte di Nae Ionescu e il suo scritto e il suo pensiero, anziché cominciare a reintegrare sempre più visibilmente l'atmosfera della produzione degli anni 1925-1940, mostrano invece la loro novità, originalità e ricchezza. Non si dice che il "purgatorio" di un qualunque autore dura trent'anni dopo la sua morte? E che soltanto allora, dopo trent'anni, si vedrà se l'opera può presentare un qualche interesse per le nuove generazioni di lettori, e se ha o non ha delle possibilità di "resistere" al tempo? In questo tempo, quanti pensatori e scrittori europei, così popolari oggi, osano sperare che trent'anni dopo la loro morte saranno altrettanto attuali quanto lo è, ai giorni nostri, il filosofo Nae Ionescu?

Chicago, 28 febbraio 1970

NAE IONESCU, OVVERO IL DRAMMA DELLA LUCIDITA'
E. Cioran

Sta nell'archivio "Cioran"

EMIL CIORAN TRA ELOGIO PERFIDO E AMNESIA
Gabriel St[nescu

Sta nell'archivio "Cioran"

IL TRIONFO DELLO SPIRITO SOCRATICO
Gabriel St[nescu

Nel cerchio di ferro dei quarantacinque anni di regime comunista, in Romania sono stati pubblicati su Nae Ionescu, spirito egregio che esercitò un'influenza decisiva sulla generazioni degli anni trenta, solamente testi critici.
Nel periodo del cosiddetto "disgelo ideologico" (anni sessanta), un brano relativo a Nae Ionescu venne eliminato (dalla censura?) dall'intervista che Eliade aveva concessa ad Adrian P[unescu; ciò provocò l'indignazione dell'ex allievo e assistente del professore. Se questo episodio poté essere spiegato all'epoca come un "incidente", le omissioni del nome di Nae Ionescu dai corsi universitari di storia della filosofia romena e dai dizionari specializzati non potevano essere più considerate come spiacevoli amnesie, ma come veri e propri casi di maltrattamento della storia della cultura romena.
Fatta eccezione per gli articoli pubblicati su "Ideea european[" (L'idea europea), "Predania" (La tradizione), "Logos", ma soprattutto su "Cuv`ntul" (La parola), Nae Ionescu non scrisse libri di filosofia; aveva orrore dei retori e della retorica e ignorava a ragion veduta il linguaggio accademico. In compenso, i suoi corsi di logica e di metafisica attiravano una gran parte dell'élite della gioventù del tempo, nei cui ranghi si distinsero almeno due pensatori europei: Mircea Eliade ed Emil Cioran. E ciò è più che sufficiente per dimostrare che la lezione socratica di Nae Ionescu non fu vana.
Ricordo che in varie occasioni alcuni di noi si erano abituati, per prudenza o per viltà, a pronunciare sottovoce alcuni dei grandi nomi della cultura, quando invece i nostri predecessori ci avevano insegnato che la vera cultura la si può fare solo a voce alta. Tra questi nomi si trovava anche quello di Nae Ionescu. Il primo volume del suo corso di metafisica lo lessi negli ultimi anni di università, senza poterne ricavare gran che; dovetti constatare che mi mancavano gli elementi fondamentali del pensiero filosofico, ma mi mancava anche un linguaggio adeguato a comprendere quello straordinario tessuto di idee, concetti e sillogismi che costituivano l'incanto della dimostrazione. Oltre a tutto ciò, mi mancava quell'atmosfera, quel clima di "amore e pensiero" (come lo ha chiamato uno dei suoi studenti) che avrebbe potuto farmi capire la maieutica di tipo socratico sviluppata dal professore.
In compenso, la pubblicistica selezionata nel 1935 da Mircea Eliade in un volume di oltre 400 pagine intitolato Roza v`nturilor (La rosa dei venti) mi sembrò più accessibile sotto il profilo delle idee. Infine, mi capitarono tra le mani diverse pagine di testimonianza sull'uomo Nae Ionescu, sul professore e sul giornalista. Tra queste, il primo volume dei Diari di Mircea Eliade, poi il libro-intervista L'épreuve du labyrinthe, il numero 10/1970 della rivista "Prodromos", totalmente dedicato alla personalità di Nae Ionescu nel trentennale della morte, ecc.
Ad eccezione delle testimonianze di alcuni suoi ex studenti e collaboratori, pubblicate sulle pagine delle riviste romene dell'esilio, in Romania si sono pubblicate poche pagine oneste sulla sua figura. Nel secondo volume delle Memorii di Octav Onicescu, pubblicato nel 1984, l'autore include Nae Ionescu tra i suoi grandi amici, chiarendo al contempo alcuni aspetti meno noti della sua biografia. Va menzionato il fatto che Octav Onicescu diresse il comitato che cominciò, subito dopo la morte del professore, a darne alle stampe i corsi universitari: Istoria logicei (1941), Metafizica (1942) e Logica (1943).
Ciò che però sorprende l'eventuale studioso del "fenomeno Nae Ionescu" è il fatto che non solo gli amici e gli studenti a lui più vicini ne videro i meriti, ma anche alcuni avversari. Per esempio il sociologo H. H. Stahl, nonostante rifiuti di far parte della "nuova generazione", non può non riconoscergli, nei suoi Amintiri çi g`nduri (Ricordi e pensieri) del 1981, una capacità di analisi "del tutto eccezionale", affermando che "la sua sola presenza era impressionante", perché metteva "in scena" l'immagine del "filosofo in atto di filosofare", antitetica all'immagine incolore del professore di filosofia che ripete una lezione già preparata a casa. "Per me - dice il sociologo - fu una meraviglia vedere come cresceva visibilmente l'influenza che questo professore aveva non solo su un gran numero di studenti, ma anche su un piccolo gruppo di pensatori della 'giovane generazione' "... Generazione di cui facevano parte, tra gli altri, Mircea Eliade, Mihail Sebastian, Constantin Noica, Mircea Vulc[nescu, Emil Cioran !
All'epoca, Nae Ionescu fu una figura estremamente controversa. Le notizie lacunose sulla sua persona resero possibile la nascita di una vera e propria leggenda sul professore. Adorato da una parte dei suoi studenti più dotati per la filosofia, contestato con virulenza da politici, ma anche da storici letterari e giornalisti (G. C[linescu e C. Beldie), Nae Ionescu è sopravvissuto spiritualmente alle vicissitudini dei tempi, poiché la fiaccola del suo spirito è più forte dell'incertezza, del dubbio e della sofferenza.
E' noto che l'epoca si è sempre schierata contro l'individuo. L'epoca costrinse Socrate a bere fino in fondo la cicuta, fu l'epoca a crocifiggere Gesù, fu sempre l'epoca a rovinare il nostro Eminescu nel pieno della gioventù. Anche Nae Ionescu fu sorpreso da una morte devastante nel pieno della sua maturità creatrice. Sarebbe stato avvelenato, si dice, per ordine dell'amante di Carol II, perché era diventato un ostacolo per il Potere. Era stato il medesimo re, nel 1933, a sospendere il suo giornale, "Cuv`ntul", e a gettarlo in carcere.
Nella sua Storia della letteratura romena, G. C[linescu, critico letterario "impressionista", ne ha tramandato alla posterità un'immagine tra le più sfavorevoli, considerandolo "istrione superiore", "farseur", "avventuriero" ecc. Gli stessi epiteti sono stati usati da C. Beldie, un intellettuale scialbo e senza personalità di cui Nae in gioventù era stato collega di redazione all' "Ideea european[". Nel 1940, alla sua morte, Carol II avrebbe potuto leggere nel quotidiano di Beldie queste parole piene di veleno: "... aveva nella sua indole qualcosa di machiavellico". In compenso, monsignor Vladimir Ghika, che Nae aveva conosciuto a Monaco di Baviera in un campo di profughi, parlava di lui come di una personalità affascinante.
L'assenza di "opera", di attività "scientifica", che Nae Ionescu ignorava per un impulso socratico, hanno fornito a mano a mano i capi d'accusa ad alcuni insignificanti gazzettieri, ma anche ad alcuni suoi colleghi d'università. Questi brontoloni zelanti hanno escogitato e alimentato ogni genere di chiacchiere sul conferenziere della Cattedra di logica e di teoria della conoscenza diretta da C. R[dulescu-Motru. Si diceva che Nae Ionescu non aveva neanche un diploma di dottore, sicché si potevano nutrire dei dubbi tanto sulla legalità dell'esame di licenza che egli aveva superato a Bucarest, quanto sulla sua nomina all'Università. Anche Dimitrie Gusti, che allora era il decano della Facoltà di Lettere e Filosofia di Bucarest, era propenso a dare credito alle calunnie. Il "terremoto" cessò solo dopo che Nae Ionescu mostrò a uno dei suoi studenti il diploma di dottorato conseguito a Monaco di Baviera e scritto in latino.
Si è parlato e ancora si parla dello spirito socratico del professore di logica e metafisica. Il suo insegnamento, in larga misura orale, affermava, secondo lo spirito del cristianesimo, che la virtù morale è il mezzo necessario per realizzare la redenzione. Egli insegnava ai suoi studenti, come scrive Mircea Eliade, a "filosofare partendo dall'immediato", dai casi personali, ricordando loro che un pensatore si può permettere qualsiasi libertà nelle proprie speculazioni, tranne la libertà di non tener conto della vita. E' significativo, in questo senso, un passo delle memorie di Eliade che riguarda il maestro spirituale di quest'ultimo: "Non dimenticherò mai la prima lezione di metafisica alla quale assistetti. Aveva annunciato un corso su Faust e il problema della salvezza. L'anfiteatro Titu Maiorescu era stracolmo e solo a fatica trovai un posto in fondo, proprio nell'ultima fila. Entrò un uomo bruno, pallido, con le tempie rasate, le sopracciglia nere, folte, mefistofelicamente arcuate, i grandi occhi di un azzurro scuro, insolitamente scintillanti; quando lanciava un'occhiata improvvisa da una parete all'altra, sembrava che scagliasse un fulmine nell'anfiteatro. Era magro, piuttosto alto, vestito con sobrietà ma con una neglignza elegante; e aveva le mani più belle ed espressive che io abbia mai viste, con dita lunghe, sottili, nervose. Quando parlava, le mani modellavano il suo pensiero, sottolineavano le sfumature, anticipavano le difficoltà, i punti interrogativi (...) Sentivi che quanto diceva Nae Ionescu non si trovava in nessun libro. Era qualcosa che era stato appena pensato e organizzato là, davanti a te, sulla cattedra".
Nella prefazione alla raccolta di testi di Nae Ionescu intitolata Convorbiri (Conversazioni) e pubblicato nel 1951 in esilio, Mircea Eliade e George Racoveanu precisano in che cosa consistesse il metodo socratico del loro professore di metafisica: "Nae Ionescu ci ha insegnato a pensare. Il suo genio aveva, in primo luogo, una struttura socratica; ci aiutava a cercare la verità e a portarla alla luce da soli. Non ce la dava già bell'e pronta; non ce la imponeva. Ci costringeva a giudicare, noi, coi nostri mezzi, e a trarre da soli la conclusione dei nostri propri sforzi". A sua volta Mihail Sebastian considera Nae Ionescu non solo un mentore spirituale, ma anche "il nostro direttore di coscienza". I circa venti giovani che venivano a sentire il professore facevano parte di una famiglia in cui "le vie spirituali restavano tuttavia distinte e solitarie, se non - come accadeva talvolta - contrastanti". Il paragone di Nae Ionescu con Papini o con Gide è benefico, nel senso di una tensione, di una temperatura interiore che governa lo scritto e la vita di costoro: "Sono pochi, credo, i giovani che non sono stati segnati dallo scritto e dalla parola di Nae Ionescu", conclude l'autore del romanzo De dou[ mii de ani (Da duemila anni).
Un'immagine da apoteosi del professore di metafisica è tracciata con fierezza e lucidità nella postfazione a Roza v`nturilor raccolta di articoli di Nae Ionescu curata da Mircea Eliade. Eliade parla a buon diritto di un vero e proprio momento spirituale creato e formulato da Nae Ionescu: "Nella storia della cultura romena moderna, un'unica grande personalità ha avuto un'influenza simile sui suoi contemporanei più giovani: Mihai Eminescu. Mentre Eminescu creò una corrente di sentimento e di pensiero emineschiano mediante la sua opera scritta, Nae Ionescu esercita un'influenza socratica, da uomo a uomo, da spirito a spirito (...) Il suo destino socratico domina e giustifica tutti i suoi gesti; venuto a insegnare ai giovani la via verso loro stessi, a insegnar loro l'amore per l'esperienza interiore, Nae Ionescu non poteva contraddirsi 'pubblicando' libri di filosofia, testi morti sui quali i giovani pensassero e dei quali si impadronissero".
Il socratismo di Nae Ionescu si è manifestato principalmente nel suo tentativo di creare un'atmosfera culturale, un clima aperto al dialogo. Sotto la sua bacchetta invisibile di dialettico si radunarono molti dei più dotati esponenti della "nuova generazione". E' esistita, a quanto pare, una vera e propria confraternita spirituale, una vera e propria scuola di situazioni di spirito in cui la presenza del professore era una "fortuna forse immeritata" per i giovani, come doveva notare Mihail Sebastian. "Nel suo scritto e nella sua vita - prosegue l'ex studente e collaboratore - c'era un continuo ingegnarsi a comunicare direttamente con ciò che è vivo, infrangendo i modelli, le forme e gli schemi". Sfidando la consuetudine universitaria, il professore rifiutò di scrivere e di pubblicare dotti trattati di metafisica; preferiva pubblicare brevi articoli di giornale, implicandosi così, nella maniera più diretta possibile, nel fiume impetuoso dei fatti quotidiani. La filosofia, secondo Nae Ionescu, si impara soltanto nell'agorà, perché la cattedra è una sorta di tomba della filosofia. E' questo il motivo per cui egli dissipò tutto il suo estro e tutto il suo talento insegnando agli altri ad essere se stessi. Per quanto diversi tra loro, i "beneficiari" di quel miracolo che reca il nome di Nae Ionescu erano personalità distinte fin dalla giovinezza. Abbiamo già citato Mircea Eliade, Constantin Noica, Emil Cioran, Mircea Vulc[nescu, Mihail Sebastian; possiamo aggiungere D. C. Amz[r, Vasile B[ncil[, George Racoveanu.
Quali sono i frutti dell'insegnamento socratico che Nae Ionescu impartì a questa pleiade di illustri discepoli e collaboratori? Virgil Ierunca è del parere che "gli allievi hanno imparato dal loro professore molto più di una tecnica della conoscenza: una volontà di essere e di restare uomini nel buono e nel cattivo tempo, tra i loro simili e nella storia". Lo spirito di Nae Ionescu è risorto in ciascuno di loro. Dopo la sua morte drammatica del marzo 1940 alcuni presero la strada dell'esilio, altri morirono come martiri nelle prigioni comuniste, altri sopravvissero al caos che li circondava grazie alla volontà di essere e di restare se stessi nel collasso della cultura.
Come Platone o Senofonte nell'antichità, così un Eliade, un Cioran, un Vulc[nescu o un Noica hanno testimoniato per la posterità per quanto concerne il trionfo dello spirito socratico nella cultura romena, spirito manifestato dall'azione del professor Nae Ionescu.
L'immagine di questo Socrate, la cui leggenda "spaventa, indigna o affascina", la cui intelligenza è stata intorbidata dalle grandi questioni della storia senza che egli si preoccupasse mai del "successo" o dell' "insuccesso", non può essere attualmente ricostruita senza che si faccia appello alle testimonianze dei suoi "apostoli", testimonianze che per la storia della nostra cultura interbellica potrebbero costituire dei veri e propri vangeli. Vasile B[ncil[ dice che egli, "con le sue lezioni, conferenze, articoli o discussioni private, ha dato innumerevoli spinte ed impulsi che si sono spesso trasformati in opere o in ambizioni sostenute da un ascendente spirituale". Tanto Vasile B[ncil[ quanto Mircea Vulc[nescu paragonano il momento Nae Ionescu con quello di Maiorescu. "Come potremo chiedere ai sopravvissuti del movimento di Maiorescu di capire che, per quelli della mia generazione, 'lo ha detto Nae' ha il medesimo significato che 'lo ha detto Maiorescu' per loro?" di domanda Mircea Vulc[nescu in una sua conferenza del 1934.
Senza dubbio, è difficile immaginare come sarebbe stata la "giovane generazione" del 1930 senza l'influenza determinante del professor Nae Ionescu. L'insegnamento di quest'ultimo lo si ritrova in tutti quei fatti culturali di cui i suoi allievi sono stati i protagonisti, per quanto diverso sia stato il modo in cui essi si sono manifestati nella storia della cultura. Non a caso, infatti, la vera cultura fu considerata da Nae Ionescu "opera di approfondimento personale e quindi di differenziazione".

BIBLIOGRAFIA

La bibliografia italiana di e su Nae Ionescu è ridotta ai minimi termini. Oltre alle pagine del Diario in cui Mircea Eliade ha spesso rievocato la figura del maestro, una presentazione generale della figura di Nae Ionescu si trova nell'articolo di Claudio Mutti Socrate tra i legionari, "Avanguardia", 77, marzo 1992, quindi nel libro dello stesso autore intitolato Le penne dell'Arcangelo, S.E.B., Milano 1994, pp. 39-51. Il primo a parlare di Nae Ionescu in Italia fu probabilmente George Uscatescu, che il 10 gennaio 1943 pubblicò un articolo intitolato Nae Ionescu sul "Meridiano di Roma". Oltre cinquant'anni dopo, la rivista palermitana "Vie della Tradizione" (n. 107, luglio-settembre 1997) ha pubblicato uno scritto di Dan Stanca, Nae Ionescu ovvero il démone perfetto. Il medesimo scritto, assieme al saggio di Gabriel Stanescu Una coscienza tragica nella cultura romena interbellica, figura nel recente Il fenomeno legionario (Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1998), che raccoglie le conferenze tenute da Nae Ionescu nel reclusorio di Miercurea Ciucului, nonché un articolo, Sotto il segno dell'Arcangelo, che egli aveva scritto nel 1937 per un giornale legionario. Il libro reca una Introduzione di Constantin Papanace e un discorso che questi tenne a Berlino nel 1940 per commemorare il filosofo scomparso da poco.